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Stress e disturbi correlati

“Lo stress viene da dentro; è la tua reazione alle circostanze, non le circostanze stesse.”

Brian Tracy

 

Cos’è lo stress

Lo stress è una risposta psicofisica a compiti di varia natura percepiti come eccessivi, quali, ad esempio, la morte di una persona cara, una separazione, una malattia, la mancanza di un lavoro o di un’abitazione, il freddo o il caldo intensi, gli ambienti molto rumorosi, i livelli di inquinamento elevati, i cataclismi.  

Allo stress sono connessi una quantità di disturbi psicologici. 

 

Disturbi psico-somatici

Si tratta di sintomi fisici non giustificati da alcuna condizione medica, che possono coinvolgere vari apparati:

– muscolo-scheletrico (es. dolor di testa, agli arti, alle articolazioni)

– gastrointestinale (es. nausea, vomito, gastrite, intolleranze alimentari)

– sessuale (es. disfunzioni nell’erezione negli uomini, cicli mestruali irregolari nelle donne)

– neurologico (es. perdita di equilibrio, paralisi, difficoltà a deglutire).                                                       

Le persone che ne soffrono non sono in grado di riconoscere e verbalizzare le emozioni e inconsapevolmente le manifestano attraverso il corpo. Di solito arrivano dallo psicologo dopo aver effettuato esami e controlli che escludono una causa organica. La terapia può aiutarli a riconoscere l’origine mentale dei disturbi e a diventare più consapevoli dei propri vissuti emotivi.

 

Disturbi dell’Adattamento

Esordiscono in risposta a un cambiamento al quale la persona non riesce ad adattarsi, sia esso positivo, come una promozione sul lavoro, o negativo, come una separazione coniugale.

Comportano un disagio e una compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo e sintomi che possono essere di natura ansiosa e/o depressiva; spesso si riscontra anche l’alterazione dell’emotività e una condotta disturbata. 

Trattandosi di disturbi di natura reattiva, solitamente regrediscono entro 6 mesi e chi ne soffre trae comprensibilmente giovamento dalla rimozione del fattore stressante. Tuttavia, dal momento che non sempre le cause sono rimovibili e che molti cambiamenti sono definitivi, è opportuno in alcuni casi avvalersi di un sostegno psicologico con l’obiettivo di ripristinare le condizioni di tranquillità ed equilibrio preesistenti.  Quando i Disturbi dell’Adattamento durano oltre 6 mesi, aumenta infatti il rischio di sviluppare anche un Disturbo dell’Umore, un Disturbo d’Ansia o l’uso di sostanze.

 

Disturbo Post Traumatico da Stress

Si manifesta in conseguenza di un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o è venuta a conoscenza di un evento o una serie di eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.

La sua risposta è stata di paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore e in seguito ha sviluppato sintomi quali:

– ricordi ricorrenti spiacevoli e intrusivi dell’evento traumatico

– evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma

– attenuazione della reattività generale

– ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme

– difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno

– irritabilità o scoppi di collera

– difficoltà a concentrarsi.

Solitamente questi sintomi iniziano nei primi 3 mesi dopo il trauma, sebbene possa esservi un ritardo anche di anni prima della loro comparsa.

Il supporto psicologico, fondato su una relazione positiva con il terapeuta, in cui potersi sentire “al sicuro”, risulta fondamentale per l’ attenuazione dei sintomi e del disagio che ne deriva. 

 

Disturbo Acuto da Stress

È caratterizzato da sintomi simili a quelli del Disturbo Post-traumatico da Stress che si verificano e si risolvono entro 4 settimane dall’esposizione all’evento traumatico.

L’intervento psicologico tempestivo può prevenire l’evoluzione del Disturbo Acuto da Stress in un Disturbo Post Traumatico di più lunga durata.

Bassa autostima e difficoltà relazionali

Cos’è l’autostima

L’autostima è il valore che ciascuno si attribuisce sulla base del confronto tra il sé reale (ciò che realmente è) e il sé ideale (come vorrebbe essere).

Possedere un’autostima alta significa percepire una limitata discrepanza tra il sé reale e il sé ideale, essere soddisfatti di se stessi, riconoscere in maniera realistica di avere pregi e difetti, apprezzare i propri punti di forza e impegnarsi per migliorare le proprie debolezze. Ciò permette una maggiore apertura all’ambiente e alle relazioni sociali, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità. Le persone con un’alta autostima dimostrano perseveranza nel raggiungimento dei propri obiettivi e dimenticano facilmente gli insuccessi, impegnandosi in nuove imprese.

Al contrario, possedere un’ autostima bassa significa percepire un’elevata discrepanza tra il sé ideale e il sé reale, essere insoddisfatti di se stessi, focalizzarsi principalmente su difetti o debolezze e trascurare i propri punti di forza. Ciò può condurre ad una chiusura nei confronti dell’ambiente e delle situazioni sociali per timore del rifiuto o del giudizio negativo da parte degli altri, a una minore autonomia e a una minore fiducia nelle proprie capacità. Le persone con una bassa autostima non dimostrano perseveranza nel raggiungimento degli obiettivi e si arrendono con facilità, soprattutto quando incontrano difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano. Faticano infatti ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso e difficilmente si impegnano in nuove imprese.

 

Come si costruisce

L’autostima non è qualcosa di innato: essa si costruisce sin dall’infanzia tramite le conferme del proprio valore che il bambino riceve dalle persone per lui significative. Ogni bambino ha infatti bisogno di sentirsi degno di amore, anche quando sbaglia. Dovrebbero essere condannati sempre i suoi comportamenti e mai la sua persona o il suo valore personale.

Con l’ingresso a scuola, il bambino si troverà a gestire il rapporto con gli insegnanti e il confronto con i coetanei. E’ importante che in questa fase che tutte le figure educative  lo aiutino a distinguere tra il voto e il proprio valore personale: prendere 4 non significa valere 4!  Allo stesso modo è importante che i genitori premino tutti i risultati positivi, evitando frasi come “Potevi fare di più” o confronti con i compagni di classe.

Senza una solida base di autostima, sarà difficile affrontare gli ostacoli della crescita che si presenteranno, soprattutto in adolescenza, costruire un’immagina positiva di sé e sviluppare capacità decisionali. 

 

L’intervento psicoterapeutico

L’intervento psicoterapeutico può aiutare le persone con bassa autostima a migliorare le proprie competenze relazionali, ad analizzare origine e fondatezza del giudizio negativo su se stessi, a ridimensionare gli ideali irraggiungibili.

Attacchi di panico: come riconoscerli e gestirli

Secondo recenti stime, gli attacchi di panico colpiscono tra l’1,5 e il 5% della popolazione mondiale, manifestandosi principalmente tra l’adolescenza e i 35 anni. La prevalenza è almeno 2 volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

Vediamo come riconoscerli, da dove originano e come gestirne i sintomi sul mio articolo per GuidaPsicologi.

 

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La cherofobia, ovvero la paura di essere felici

Cosa significa cherofobia

Nella prima puntata di X Factor, andata in onda lo scorso 6 settembre, si presenta alle audizioni una ragazza dagli occhi blu e la faccia pulita, Martina Attili. La sua canzone emoziona il pubblico e attira l’attenzione su un concetto poco conosciuto, la cherofobia.

Di che si tratta? Non è un disturbo ufficialmente riconosciuto dalla psichiatria. L’etimologia della parola può però aiutarci a comprenderne il significato. Cherofobia deriva dal greco chairo “rallegrarsi” e phobia “paura”. Letteralmente significa dunque “paura di rallegrarsi, di essere felice”.

Sembra un paradosso se si considera che ad oggi la felicità è una meta da inseguire per la grande maggioranza delle persone. Tuttavia c’è chi pensa che la fregatura sia sempre dietro l’angolo e che alla felicità debba necessariamente seguire l’ infelicità. E allora bisogna rifuggire tutto ciò che può procurare uno stato di benessere, che sia un nuovo amore, una nuova posizione lavorativa o in generale un cambiamento che migliorerebbe le condizioni di vita.

 

Chi sono i cherofobici

Troviamo questa tendenza nel pessimista, convinto che il lieto fine non esista. Nell’evitante, che rifugge le situazioni per paura di non esserne all’altezza. Nel perfezionista patologico, che vede nei piaceri una perdita di tempo.

L’elenco non finisce qui perché la cherofobia in fondo, più che un disturbo in sé, è un atteggiamento presente in una vasta gamma di condizioni e disordini mentali. Il denominatore comune è spesso una storia infantile in cui ai momenti felici seguivano le punizioni.

L’associazione felicità-punizione che si viene a creare nella mente porta ad escludere l’una per evitare l’altra. Il gioco non vale la candela.

 

L’aiuto psicologico

C’è da dire tuttavia che si può vivere tranquillamente anche senza essere felici.  Anzi, la cherofobia può diventare un guscio che fa sentire protetti da minacce e pericoli.

Soltanto quando la sua paura interferisce con le normali attività quotidiane, il cherofobico arriva dallo psicologo. La consulenza o la psicoterapia può aiutarlo allora a prendere maggiore consapevolezza di quelle esperienze del passato che hanno contribuito a renderlo così diffidente nei confronti di ciò che è positivo. Questo è certamente il primo passo verso il cambiamento delle proprie aspettative e dei propri comportamenti.

 

I dolori del giovane adulto

Giovane adulto è un termine recentemente comparso nella psicoanalisi e successivamente introdotto nel vocabolario comune per indicare il periodo della vita che va dalla tarda adolescenza all’età adulta. In questa fase i compiti culturalmente assegnati all’individuo sono la realizzazione professionale e la costruzione di una relazione di coppia stabile. Farvi fronte però non è un’impresa semplice e alla portata di tutti.

Le difficoltà incontrate possono generare una situazione di profondo disagio, se non un vero e proprio blocco evolutivo che rende necessario l’intervento psicologico.

La realizzazione professionale

Nella vita lavorativa, lo scoglio più grande da superare per il giovane adulto è quello di compiere delle scelte definitive.  Ad assalirlo possono essere dubbi quali: “Sto facendo la scelta giusta?”, “Sarò all’altezza della situazione?”, “Se sbaglio che succederà?”, “Potrò tornare indietro?”.

Soltanto chi sa chi è, sa anche chi vuole diventare e, se ha una buona stima di sé, trova la spinta a impegnarsi per la realizzazione futura. La stima di sé e l’aspirazione a crescere si costruiscono già in adolescenza e sono fortemente influenzate dal sostegno e dall’apprezzamento da parte delle persone significative della propria vita, quali i genitori e gli insegnanti; fattori importanti sono poi la percezione del proprio aspetto fisico, l’accettazione da parte dei coetanei e la competenza scolastica.

Chi non ha un’identità definita, corredata da una sana autostima,  rimane paralizzato dai dubbi e non riesce ad andare avanti: è più rassicurante rifugiarsi in uno spazio sospeso, dove tutte le vie sono ancora percorribili. Questo può tradursi nella tendenza a evitare o, all’opposto, a collezionare esperienze poco gratificanti, alla ricerca disperata della strada da seguire, in una sorta di ”adolescenza prolungata”.

La costruzione di una coppia stabile

Avere un’identità definita permette anche di legarsi agli altri senza il rischio di perdere la propria individualità in una relazione di coppia improntata alla reciprocità e al progetto di generare dei figli. Anche in questo caso risulta fondamentale una storia di legami positivi e rassicuranti con i genitori, che permettano di acquisire un bagaglio di competenze relazionali, di supporto e di cura, spendibili nel rapporto col partner.

Famiglie iperprotettive o iperpermissive creano insicurezza e rendono dipendenti dalle figure genitoriali. La relazione di coppia, qualora trovasse spazio, non sarebbe caratterizzata dalla reciprocità poiché mancherebbe un adeguato bagaglio di esperienze di cura da cui attingere. Di solito in questi casi si cercano nel partner i connotati del proprio padre o della propria madre e non si è pronti a diventare a propria volta genitori perché si  rimane intrappolati nel ruolo di figli.

Il ruolo della società

Che ruolo gioca la società nelle esitazioni del giovane adulto?

Nelle società tradizionali la trasmissione dell’attività professionale era “di padre in figlio”. Rituali sociali o cerimonie religiose sancivano bruscamente il passaggio da bambini a uomini, preparati e consapevoli dei propri doveri in quanto membri della comunità.

Anche dopo la scomparsa di rituali e cerimonie, fino a tempi recenti, il mestiere si imparava direttamente dal padre e in un certo senso questa staffetta tra le generazioni era rassicurante.

Con la diffusione delle scuole superiori all’inizio del Novecento, è crollato l’ apprendistato familiare, in casa o nelle botteghe artigiane, ed è nata la necessità di concedere maggiore tempo ai ragazzi per completare il processo di sviluppo, attraverso specifici percorsi formativi.

Nel nostro tempo il passaggio da una fase all’altra si è ulteriormente dilatato e l’acquisizione di autonomia appare notevolmente posticipata. Senza più la mediazione dell’autorità genitoriale, che è andata scomparendo dagli anni Settanta in poi, l’incapacità di scegliere è infatti diventata sempre più dilagante.

A complicare ulteriormente le cose c’è la crisi lavorativa che rappresenta una vera e propria piaga sociale. In Italia, in particolare, il  tasso di disoccupazione rimane più alto della media degli altri paesi europei; inoltre le occupazioni sono spesso temporanee e non favoriscono quel senso di stabilità personale ed economica necessario alla crescita.

Così i giovani sempre più prolungano la loro permanenza a casa dei genitori, rimandando la costruzione di una propria famiglia e l’esperienza della paternità o maternità.

L’intervento psicologico col giovane adulto

La psicoterapia può rappresentare per il giovane adulto l’occasione di essere sostenuto nel processo decisionale in vista della costruzione del futuro. L’esperienza del “pensare insieme” ad una persona competente funziona infatti come stimolo a riflettere e a raggiungere una migliore consapevolezze delle proprie paure, dei propri desideri e dei propri obiettivi.

Il primo passo da compiere verso una maggiore definizione e accettazione di sé è individuare l’origine della propria sofferenza. Pertanto spesso risulta fondamentale un lavoro terapeutico che permetta di riconnettere al passato le vicende attuali, di capire cosa ha impedito la definizione della propria identità e la costruzione di una sana autostima creando un intoppo nel percorso di crescita.

L’alleanza e la relazione positiva col terapeuta aiuteranno il giovane a compiere questo percorso difficile e spesso doloroso.

Bibliografia

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Zoja (2000). Il gesto di Ettore. Presistoria, storia, attualità e scomparsa del padre. Bollati Boringhieri, Torino.